Realtà o narrazione?

Siamo sempre capaci di stabilire se una sensazione, un’idea, una valutazione di un qualsiasi evento sono oggettivamente “così e non altro”, cioè “reali”?

Ma di più, siamo certi che anche le nostre osservazioni, intendo gli stimoli visivi, auditivi, tattili, olfattivi, cinestesici, siano completamente oggettive, o abbiamo avuto modo di verificare quanto osservazioni simili possano essere interpretate, in momenti e contesti diversi, in maniere radicalmente differenti?
Penso che la grande maggioranza di noi non si ponga neppure queste domande, proprio nella automatica e scontata convinzione che “le cose stanno così, come le vedo, le sento, le provo”.

Ma il dare per certo qualcosa, non dimostra che questo qualcosa sia certo; si confonde in questo modo la fede o fiducia con l’accertamento sperimentale.
Se credo che l’acqua alla pressione di 1 atmosfera, inizi a bollire alla temperatura di 90°, ( una vecchia barzelletta, protestava: “Non è l’acqua, è l’angolo retto che bolle a 90°!”) la mia è solo una credenza non sottoposta a prove sperimentali. Un termometro, possibilmente ben tarato, invece mi dà la dimostrazione oggettiva.
Ma se continuo a credere senza cercare la dimostrazione sperimentale, potrei stare anni a mistificare la realtà.

Questa affermazione sembra a una prima lettura esagerata; e tuttavia, se ci riflettiamo, non credo che a ciascuno di noi risulti difficile trovare più di un esempio di “false coscienze” o false certezze che abbiamo mantenuto per tempi anche molto lunghi, fin quando, magari per caso. abbiamo dovuto prender atto che ciò che davamo per sicuro era invece un fraintendimento.

Sto parlando non solo di fatti, ma anche di reazioni emotive.

Faccio un esempio su “fatti”: supponiamo che io dia per scontato, quindi sicuro, che la mia auto abbia l’ ABS (sistema che evita in frenata che le ruote vengano bloccate, garantendo così che, per quanto automaticamente io tenga il pedale del freno premuto a fondo, il sistema ABS impedisca il blocco, evitando così che l’auto slitti e si perda il controllo della tenuta di strada). Magari per anni, ho ritenuto certo che l’auto fosse dotata di ABS, fin quando in una situazione di emergenza mi rendo conto che se freno bruscamente e a lungo, l’auto perde aderenza e tenuta di strada. A questo punto, mi vado a leggere il libretto di istruzioni, e vedo che l’ABS non c’è…

Ho “interpretato” , in altri termini “mi sono raccontato” un fatto, una caratteristica, illudendomi che fosse presente (magari pensando che tutte le auto, da almeno 20 anni, sono dotate di ABS, e quindi anche la mia, che ha solo 8 anni, lo dovesse per forza avere), senza cercarne le prove. Atteggiamenti ed idee di questo tipo non sono affatto rari, ma sentirsi sicuri di qualcosa di concreto senza accertarsene oggettivamente può portare una persona non solo a dover constatare di aver fatto un errore, ma anche a correre dei rischi.

Lo stesso accade per quel che riguarda sentimenti ed emozioni.

Un esempio pratico riguarda la paura, emozione primaria, che è presente in ogni individuo, quindi non solo negli esseri umani.

Una paura ancestrale è quella del vuoto; in tempi ormai remoti, sono stati fatti esperimenti su bambini in età inferiore ad un anno, che gattonando su una superficie solida, sulla quale ad un certo punto era stato messo un cristallo trasparente (altrettanto solido della superficie, ma, appunto, che lasciava vedere il vuoto sotto) si sono fermati proprio perché temevano di cadere sotto.

Paura ancestrale, che è inclusa cioè negli istinti, prima ancora che si faccia l’esperienza.

Ciononostante, questa paura può essere superata, e lo sanno bene coloro che si lanciano da un aereo (con il paracadute, ovviamente).

In sintesi, come scrisse un filosofo della Grecia antica di nome Epittèto, ” non sono le cose in sé a turbarci, ma come noi le interpretiamo”.

Un aspetto della “realtà costruita”, al posto della realtà oggettiva, che resistiamo a prendere in considerazione.

Ed invece, non credo sia particolarmente difficile scoprire quanto siamo influenzati da questo modello narrativo/interpretativo. Le storie ci affascinano da quando siamo bambini, e per fortuna questo fascino non declina. Se così fosse, nessuna forma d’arte sarebbe nata, e continuerebbe ad attrarci, a portarci in altri mondi, altri tempi, altre emozioni.

A volte, se stuzzicato riguardo alla mia passione per la lettura, mi viene da dire che questa forma d’arte, quindi il romanzo, il racconto, la poesia, la narrativa in generale, mi ha consentito di vivere le vite dei protagonisti; cioè migliaia di vite.

Ed ogni esperienza/narrazione di vita è capace di influenzare la visione del mondo, di cambiarla anche profondamente. Nonostante chi legge sappia che è “solo” un racconto, in ultima analisi come scriveva Borges, una finzione.

Figuriamoci poi quando le storie, le narrazioni su noi stessi, sugli altri, sul mondo, ce le facciamo noi…e le diamo inerzialmente per vere, certe, sicure.

Ma sono spesso solo “interpretazioni”, come diceva Epittèto.

Cosa potrebbe succedere se accettassimo questa “ipotesi di lavoro”?

Come fa a superare la paura del vuoto uno che decide di diventare paracadutista?

Credo che scelga di raccontarsi una storia diversa da quella che gli racconta l’ horror vacui, come dicevano gli antichi romani, l’orrore del vuoto; e cioè che si può, col paracadute, galleggiare nel vuoto, e che fare quella esperienza potrebbe cambiare in meglio la sua vita, la sua immagine di sé, il suo confrontarsi con gli altri.

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