La durezza della perdita

I sogni, quando li ricordiamo, talvolta generano un vissuto di interpretazione della realtà attuale, personale in genere, ma anche debordante su situazioni e fenomeni più ampi, per esempio gli odierni conflitti, e/o altri eventi di rilevanza generale.Un sogno di ieri notte mi ha riportato alla memoria una antica e delicata canzone di Charles Trenet: “Que reste-t- il de nos amours” ( Cosa resta dei nostri amori)Questa canzone, reinterpretata qualche decennio fa da Joao Gilberto, è , a parte la musica, particolarmente poetica e delicata nelle parole, che aggiungo qui avanti, assieme alla mia traduzione:Que reste-t-il de nos amours Cosa rimane dei nostri amoriQue reste-t-il de ces beaux jours Cosa rimane di quei bei giorniUne foto, vieille foto, de ma jeunesse Una foto, vecchia foto della mia giovinezzaQue reste-t-il des billet doux Cosa resta dei bigliettini dolciDes mois d’Avril, des rendez-vous Dei mesi d’Aprile, degli appuntamentiUn souvenir, que me pursuit sans cesse Un ricordo, che continua a seguirmi Bonheur fané, cheveux au vent Felicità sbiadita, capelli al ventoBaisers volés, reves mouvants Baci rubati, sogni che scorronoQue reste-t-il de tout cela, dites-le moi? Cosa resta di tutto questo, ditemelo?Un p’tit village, un vieux clocher Un piccolo villaggio, un vecchio campanileUn paysage, si bien caché Un paesaggio così ben nascostoEt dans une nuage, le cher visage Ed in una nuvola rivedo il caro visoDe mon passé Del mio passato I sogni, le vecchie canzoni, la loro poesia, gli amori passati….Per me, le parole di questa canzone rivelano una necessità; la necessità della perdita, ( tutto si perde, ogni avere è temporaneo) e la funzione del ricordo per ridurre per quanto possibile la durezza della perdita.Il ricordo, almeno in parte, rievoca ciò che si è perso. Di più: se la rievocazione sceglie artisticamente, liricamente, i diversi frammenti del ricordo, ne sublima gli effetti.Come nella canzone, il rimpianto è dolce, sostenibile, non è più tragico.A volte, una canzone, riesce ad allontanare la tragedia, proprio canalizzando le emozioni sulla dolcezza. E’ una alternativa romantica alla violenza.

Vincere, perdere

E’ un periodo storico nel quale sembrano riemergere termini, sceneggiature, aspetti concettuali e sociopolitici che andavano per la maggiore circa 100 anni fa. Ne cito qualcuno: patria, patriarcato, saluto a braccio teso, populismo; vincere, e vinceremo (verso di una celebre canzone a ritmo di marcia militare, ma ancor prima, affermazione del capo del governo di allora, in uno dei discorsi pronunciati dopo l’entrata in guerra). D’altro canto, il governo attuale è orientato, e costituito, da eredi di un tempo e di un partito che sempre un centinaio circa d’anni fa, “rivoluzionò” lo stato italiano , guidato da un personaggio che aveva fondato un partito ed ottenuto di esser nominato capo del governo di allora.Sono trascorsi più di cento anni, ma il fascino, il ricordo di un’Italia che tramite quegli schemi, quelle parole d’ordine, quegli ideali, assunse un’immagine internazionale che da millenni non aveva, hanno continuato a sopravvivere, nonostante la dittatura, l’entrata in guerra, i milioni di morti, la distruzione, la guerra civile, le leggi razziali, il genocidio di milioni di “diversi”.E perciò, queste sopravvivenze ormai così antiche, ( perché nel frattempo il pianeta Terra ha superato gli 8 miliardi di umani, che hanno scavalcato i primi 20 anni del 3° millennio, elevato a potenza le possibilità di produrre cibo, materie prime, sono andati sulla Luna, sono da anni su Marte, per ora solo con strumenti, hanno esplorato con sonde più o meno tutti i pianeti del sistema Solare, hanno portato avanti la fisica, la chimica, la biologia, la medicina, l’astronomia, insomma tutte le scienze, “dure” e meno dure; hanno fatto evolvere l’informatica al punto che esiste già una Intelligenza Artificiale di cui non si possono prevedere gli sviluppi. L’uomo è arrivato a dover prendere atto che i danni all’ecologia planetaria prodotti dall’uomo stesso stanno mettendo in serio pericolo il clima, e di conseguenza l’abitabilità del pianeta), sono sorprendenti, ma comunque sono. Come se questi ultimi 100 anni abbiano lasciate più o meno intatte idee, miti, ideologie, che sarebbero dovute scomparire completamente, in quanto i fatti storici, l’evoluzione delle scienze, ne hanno dimostrato indubitabilmente l’erroneità, le terribili conseguenze per chi vi ha a suo tempo aderito e creduto. Invece, esistono e si espandono le “fedi” religiose, che continuano a far emergere radicalizzazioni e rievocano le certezze finte del “Gott mit uns” ( “Dio è con noi” degli eserciti nazisti, ma non certo coniate a quei tempi, se mai copiate nella storia più arcaica, antecedente ai monoteismi), continuano i disconoscimenti delle scienze ( ancora sopravvivono gruppi che si dicono certi che la terra è piatta, o cava, Copernico è disconosciuto da altri gruppi. Gli avanzamenti della antropologia, della biologia, della chimica, della medicina sono negati e combattuti da gruppi che non solo respingono ogni prova per quanto inconfutabile, ma continuano a ribadire che l’astrologia -non l’astronomia- è vera scienza, così come il creazionismo, e quant’altro di assurdo – del resto, un noto apologeta cristiano del III° secolo d.c. affermò e scrisse (credo quia absurdum”) che proprio in quanto era assurdo lui credeva nel Vangelo cristiano…- ci si possa inventare, e ci si sia da millenni inventato). Insomma, come scritto più sopra, rimane intatta per una quota elevatissima di componenti della specie umana la scelta di farsi continuare a trascinare dal fascino dell’irrazionale, dai miti, dai riti “iniziatici” che risalgono ad un tempo in cui non erano ancora nate le scienze sperimentali, il metodo scientifico, e l’unica risorsa per dare un senso all’incomprensibile era inventarsi esseri superiori, che avevano superpoteri di tutti i generi, e che se l’uomo li adorava opportunamente, e mostrava una totale sottomissione, ( a proposito, il significato del termine Islam è proprio “sottomissione”) a volte erano capricciosamente generosi nei confronti dell’uomo, che però non doveva illudersi più di tanto, perché appunto guai a lui se perdeva il “timor di – o del- dio” . La perfidia spaventosa del dio poli o mono teista era una caratteristica talmente umana che portava e porta a pensare che sia avvenuto il contrario di ciò che più o meno tutte le religioni affermano; non è l’uomo una creatura di o del dio, ma è il dio una creazione o meglio una invenzione dell’uomo. Vincere; perdere.