Canzoni e psicologia: Hora da razào (l’ora della ragione)

Sappiamo che alcune canzoni, alcuni autori, presentano a volte straordinarie sintesi su temi non solo musicali, ma anche filosofici e psicologici. Parafrasando Galileo, non è poi così raro scoprire che alcune canzonette possono trattare di “massimi sistemi”.
Tempo fa, ho riportato in un articolo intitolato “a vida è arte do incontro” l’affermazione contenuta in una canzone di V. De Moraes; oggi voglio continuare , riportando il verso che, in apertura della canzone di cui al titolo, mi colpì una decina o più di anni fa, al primo ascolto: “se eu deixar de sofrer, como è que vai ser para mi acostumar?”, cioè “se smetto di soffrire, come farò ad abituarmi?”. Bè, dovetti riascoltare immediatamente la canzone, perché non mi sembrava possibile una provocazione simile, confermata in seguito dal verso “sofrer, tambem è merecimento…” (soffrire è anche un merito”).
Ecco, nella cultura cattolico/cristiana, la sofferenza è considerata da millenni un merito, che arriva al massimo quando si raggiunge il martirio.
In più, alla sofferenza ci si abitua, e può non solo diventare una compagnia, ma addirittura trasformarsi in un elemento identitario, in quanto, tanto o poco esibita, induce alla compassione chi in qualche modo la nota.
Per cui, può diventare un vantaggio. Freud parlava a suo tempo del “vantaggio secondario del sintomo”.
E allora, è davvero una volontà quella di liberarsi della sofferenza, come mi viene detto, da persone che si rivolgono a me con questo obiettivo? Non lo do per certo, proprio perché uno che “si tiene” per anni una ferita della psiche mi fa sospettare che possa averne dei vantaggi a tenersela; ad esempio, chi mi dice “io sono uno/a che non decide, tentenna ad ogni scelta o decisione da prendere, e poi mi rimprovero e mi svaluto ( cioè soffro), e vengo qui perché tu mi aiuti a superare questo blocco”.
E’ veramente determinato/a a superare questa sofferenza? O, inconsapevolmente, sta cercando pezze d’appoggio per “rassegnarsi e tenersela”? ( Neanche rivolgermi ad un professionista esperto mi è servito).
Perciò gli/le chiedo, scherzando: ma se smetti di soffrire, ce la farai ad abituarti?

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